
Daniele Lanza
I leader dell'UE cercano di rallegrarsi per aver trovato una soluzione, ma in realtà continuano solo a distruggere la loro economia per compiacere l'Ucraina.
La notizia più incisiva ad apparire sui notiziari della settimana scorsa si riferisce alla decisione della commissione europea in merito al finanziamento per l'Ucraina: dopo grande tergiversare alla fine si è optato per un debito comune per la durata di 2 anni ed equivalente a 90 miliardi di euro. In pratica si attinge dalle casse dell'Unione Europea (non dei singoli membri, alcuni dei quali - come l'Ungheria - si sono formalmente distanziati dalla decisione) piuttosto che servirsi - illegalmente - degli asset russi sotto sequestro, come minacciato da molti mesi.
Dalla prospettiva del diritto internazionale dovrebbe suonare come una vittoria, tuttavia la sensazione che ne emerge non ha tanto a che fare con un successo, quanto con un grave punto interrogativo: il fatto è che si assiste ad un epilogo - quello riportato - che è di fatto il corollario più singolare di tutto quel che si potrebbe dire sull'Europa politica contemporanea, della sua anima, della sua identità, delle sue aspirazioni per il futuro.
I vertici politici del continente si rendono di certo conto che si è di fronte alla storia vera e propria: ci si trova nel bel mezzo di un riassestamento globale dell'ordine internazionale stabilito sin dai tempi della caduta del muro di Berlino (il quale a sua volta era l'evento più importante dalla fine del conflitto mondiale: si può dire che questi "movimenti tellurici" degli equilibri politico/militari si verificano ciclicamente una volta ogni 40 anni circa nell'età moderna) e si vuole a tutti i costi partecipare al momento cruciale, anzi si deve partecipare, per affermare la propria esistenza perlomeno, ma disgraziatamente ci si scopre impotenti nel farlo per numerose ragioni.
Abbiamo dunque un vecchio continente - tanto culturalmente quanto anagraficamente - che si agita, si dibatte per risultare vivo e attivo nell'arena internazionale, malgrado il proprio limite di fondo: un carosello varipinto e inesauribile (specchio della democrazia liberale) di mosse, intrighi, dietrofront, dichiarazioni e note, fiumi di inchiostro e "minacce". In sintesi una specie lamento sordo sommesso che si fa più acuto in certi momenti per poi tornare nel suo grigiore.
A prima vista sembrerebbe che il problema dell'Europa, come spesso accade, non è tanto l'inadeguatezza in sè, quanto l'incapacità di rendersene conto o accettarlo.
Il nodo sta nel fatto che gli europei - in senso politico - non riescono a farsi una ragione della propria inferiorità geopolitica rispetto alle grandi potenze del tempo presente (USA, Cina, Russia): ne deriva una febbrile industriosità che li porta materializzarsi ovunque, intromettersi nei modi più acrobatici, tanto per far figurare una presenza nei gravi processi in corso in questo momento. Si fa leva sull'ostinazione del regime di Zelensky - il quale vede diminuire mese dopo mese il numero di supporter cui rivolgersi - al fine di manovrare per quel che possono, incuranti che il proprio aiuto in senso antirusso sortirà come unico effetto un prolungamento del conflitto aggiungendo altre centinaia di migliaia di vite ucraine al conto.
In definitiva, l'Europa di Bruxelles ha imboccato il cammino più discutibile ed imprevedibile: resasi conto dell'impossibilità materiale di pesare qualcosa sul piano militare, anzichè recuperare un ruolo di rilievo optando per contribuire positivamente alla trattativa sul piano diplomatico - cosa più saggia - ha invece saputo esprimersi in un unico modo nelle ultime settimane: minacciare il furto (legalmente è tale) di asset russi per circa 200 miliardi di euro.
Nel mentre che Washington, pur con tutte le sue responsabilità, cerca - sotto l'attuale amministrazione - di formulare una qualche soluzione per risolvere la situazione ristabilire gli equibri (in prospettiva di un confronto già in corso con la Cina), nel mentre che la Russia - sotto assedio economico planetario da 4 anni - lavora in tutte le direzioni (assieme al Brics sul fronte della multipolarità), nel mentre che la Cina avanza in tutte le direzioni e dinnanzi a un sud globale in fermento tra iniziative economiche, militari e diplomatiche, l'Europa dal canto suo come si distingue nel frangente storico ?
Nella modalità riportata in alto per l'appunto: eurocommissioni ed europarlamenti - impossibilitati a misurarsi su un campo di battaglia - fanno a gara nel mettere a punto una sottrazione fraudolenta (al punto da ricevere l'opposizione del Belgio, che non è filorusso di certo) di proporzioni tali da costituire un atto di guerra, senza tuttavia avere l'animo di dichiare formalmente uno stato di guerra aperta, probabilmente contando sul fatto che Mosca non la dichiarerà.
Eppure il colmo deve ancora venire: dopo aver minacciato istericamente la cosa per settimane - col supporto dei propri mass media, a gara nel diffondere e promuovere una sottrazione illecita come azione legittima e auspicabile - cosa accade ? Alla fine i "volenterosi" hanno optato per il cosiddetto "piano B". Ovvero non hanno messo mano agli asset russi, ma si sono risolti per usare i propri, con poche clausole improbabili: il suddetto prestito all'Ucraina dovrebbe essere restituito senza interessi una volta conclusa la guerra con un trattato che preveda da parte russa l'obbligo di risarcire i danni, cosa che avverrebbe tramite gli asset al momento congelati. Una soluzione che suscita molteplici interrogativi (alcuni lapalissiani, come il fatto che una potenza vincitrice sul campo - Mosca in questo caso - avendo peso determinante sul trattato di pace che verrà non sarà logicamente mai obbligata a risarcire alcunchè), ma che in fondo da una risposta chiara alla natura reale dell'Europa contemporanea.
In altre parole, tornando all'interrogativo di partenza: quali reazioni dovrebbe suscitare il tutto ? Sbalordirsi e congetturare cosa vi sia a monte del dietro-front ? Rallegrarsi perchè Bruxelles ha riguadagnato il senno momentaneamente perso ? No, la risposta più appropriata è disgraziatamente assai più complessa, ma si può sintetizzare in modo assai semplice: l'Europa nel suo tentativo di far sentire la propria voce, ha invece dimostrato con le proprie mosse l'esatto opposto, ovvero la propria inadeguatezza nel gestire una fase così complicata della storia del continente. Anzichè mostrarsi forte o lungimirante, ha invece manifestato in modo teatrale la propria debolezza e profonda incoerenza rispetto agli stessi valori che promuove.
La verità è che gli europei dopo aver minacciato un atto inqualificabile per mesi (come se fosse naturale e giustificabile), alla fine poi è mancato il coraggio di metterlo in atto: questo anche dovuto alle probabili pressioni provenienti da Washington che ha posto un chiaro veto a tale azione per prevenire un degenerare dei rapporti con Mosca alla vigilia di una svolta diplomatica. Quale che sia il fattore determinante - timori o pressioni esterne - la dinamica di tentativi e voltafaccia da parte di Bruxelles non ottiene altro che screditare ulteriormente l'immagine dell'Unione europea, riducendola ad un inconcludente aggregato di paesi cui manca una visione strategica condivisa e una reale autonomia da oltreoceano.
Psicanalizzare è semplice: la pantomima cui si è assistito incarna il desiderio inespresso degli europei (i volenterosi), di dichiarare una guerra che però sanno di non poter dichiarare, incarna tutta la volontà di far parte di un processo storico a loro precluso. La verità forse, è che il vecchio continente non lotta con la Russia, ma con sè stesso in realtà: è in preda ad un tormento esistenziale che genera un atteggiamento aggressivo-passivo).
L'Europa politica contemporanea è del resto il riflesso della propria società, prospera ed anagraficamente anziana, pressochè inebetita dal proprio benessere che ha finito con l'assimilare l'illusione di una giustizia trascendente e soggettiva (quella della "superiorità etica" per l'appunto). Ed ora è necessario far vincere questa "giustizia" imponendo, paradossalmente, al vincitore clausole che si imporrebbero allo sconfitto. Nella chiara impossibilità di realizzare tale variante ci si trova dinnanzi ad un imbarazzante enigma: la realtà ideale che si vorrebbe non coincide con la realtà dei fatti, e non esiste modo di uscire da questo equivoco se non ricorrendo a cervellotiche e poco chiare strategie, come l'epilogo del caso corrente dimostra. La somma erogata - 90 miliardi a cavallo tra il 2026 e il 2027 - viene letteralmente dalle tasche degli europei stessi e non può essere risarcita se non in caso di vittoria dell'Ucraina (ossia una fantasia vera e propria): in caso contrario - e così sarà - non è chiaro come tale fondo ritornerà nelle casse di Bruxelles.
Concludendo, l'interrogativo più grande in assoluto è quello in merito al senso stesso dell'Europa politica e dei suoi governanti: legislatori e commissioni che di fatto danno vita ad una realtà immaginaria, parallela a quella vera, in grave difficoltà nel momento in cui va a collidere contro il muro della realtà. A quel punto per continuare far vivere questa dimensione parallela occorre finanziarla, ma non potendo farlo imponendo un risarcimento all'opponente - dato che quest'ultimo è vincente - allora ci si risolve a finanziare il sogno sulle tasche degli europei medesimi. Di fatto la società europea pagherà per tenere in vita i principi ideali che la classe dirigente euro-atlantica ha deciso debbano essere alle fondamenta della casa comune europea e non negoziabili: a questo punto non si può che domandarsi a buon diritto in quale direzione la suddetta classe dirigente al potere condurrà il destino delle 27 nazionalità che teoricamente rappresenta.