29/03/2025 strategic-culture.su  6min 🇮🇹 #273254

Con il nuovo Piano d'azione dell'export, l'Italia guarda finalmente ai Brics?

Stefano Vernole

Roma oggi collabora con i BRICS in modo selettivo e cauto, temendo le ire di Washington e Bruxelles, ma non può fare a meno di notare come il multipolarismo offra spazi d'azione politica, economica e commerciale

L'Italia è una potenza mondiale dell'export che vale circa il 40% del PIL nazionale, il 6° esportatore a livello globale con 121.000 imprese esportatrici, di cui circa la metà sono PMI; si tratta di un traino decisivo per la sua economia e per l'equilibrio della bilancia dei pagamenti.

L'Italia si vanta anche di essere la seconda economia al mondo e la prima in Europa per diversificazione merceologica di beni esportati, in pratica in ogni settore.

Tuttavia, l'insistere del Paese verso la geopolitica atlantista sta mostrando le corde e l'Italia arriva da 24 mesi di calo consecutivo della produzione industriale, bassi salari e aumento dei prezzi quali conseguenze delle sanzioni alla Russia, dei dazi alla Cina e della inevitabile recessione della Germania di cui le regioni padane sono strategiche subfornitrici.

Con 623,5 miliardi di euro, l'export italiano nel 2024 ha registrato soltanto una lieve riduzione in valore (-0,4%), risultante da una moderata contrazione nell'area UE e grazie al record dell'export verso i Paesi extra UE, con 305,4 miliardi di euro (+1,2%). Si è registrato un sensibile aumento dell'avanzo commerciale a 54,9 miliardi (+61%) per effetto del calo delle importazioni e della riduzione del deficit energetico.

Nei giorni scorsi, perciò, il Ministero degli Esteri di Roma ha presentato ufficialmente il Piano d'azione per l'export italiano, che ha l'obiettivo di portare il valore delle esportazioni a 700 miliardi di euro entro la fine dell'attuale Legislatura, espandendo la presenza delle aziende tricolori in una serie di economie caratterizzate da alti tassi di crescita e da un forte potenziale di sviluppo per il Made in Italy.

Naturalmente, gli annunciati dazi doganali della Presidenza Trump sono alla base del rinnovato slancio governativo: il surplus commerciale italiano con gli U.S.A. vale 38,8 miliardi di euro, una fetta non indifferente del quale rischia di svanire a causa del protezionismo della Casa Bianca.

Il Piano d'azione si propone invece di accelerare la penetrazione delle esportazioni italiane in mercati ad alto potenziale, individuando quali Paesi emergenti più promettenti in tale chiave: India e Cina; Messico e Brasile (più in generale, Mercosur e America Latina); Turchia; EAU ed Arabia Saudita (più in generale i Paesi del Golfo); Paesi ASEAN (in particolare Thailandia, Vietnam, Indonesia e Filippine); taluni Paesi dell'Africa (in particolare Sudafrica e Algeria), Balcani Occidentali (in particolare Serbia) e Asia Centrale. In molti di questi Paesi sono in corso - o sono stati finalizzati a livello tecnico - negoziati per la conclusione o l'ammodernamento di accordi di libero scambio di ampia portata con l'Unione Europea ma nell'implementazione di questo processo l'Italia non può subordinarsi alle tempistiche della farraginosa diplomazia di Bruxelles.

Se analizziamo, infatti, i dati dell'export italiano nel 2024, constatiamo l'importanza di iniziare finalmente a diversificare i Paesi di destinazione (storicamente Germania e Stati Uniti): Turchia (17,6 mld €, + 23,9%), Emirati Arabi Uniti (7,9 mld €, +19,4%), Messico (6,6 mld €, +7,4%), Arabia Saudita (6,2 mld €, +27,9%), Brasile (5,8 mld €, +8,1%), India (5,2 mld €, +1%), Algeria (2,9 mld €, +2,7%), Sudafrica (2,2 mld €, -0,6%), Paesi ASEAN (10,7 mld €, +10,3%), Vietnam (1,5 mld €, +25,8%), Indonesia (1,2 mld €, -9,9%), Filippine (0,9 mld €, +10,4%), Balcani occidentali (6,5 mld €, +13,4%), Serbia (2,7 mld €, +17,4%) e Asia Centrale (2,16 mld €, +11,3%).

Seppure si tratti di una necessità dovuta a motivazioni meno "nobili" rispetto al passato, la rinnovata attenzione dell'Italia al Sud del Mondo può scoprire ed apprezzare le potenzialità insite in una sana cooperazione con il Gruppo dei BRICS plus.

Questa forte vocazione all'export in una prospettiva orientata sempre più al Sud globale, rende evidente la necessità per l'Italia di lavorare, come ha spesso fatto durante la Prima Repubblica, per una politica globale di pace, mediazione e stabilità, condizioni necessarie per fare affari con tutti e non subire le devastanti conseguenze economiche dei conflitti scatenati o indotti dalla NATO.

L'Italia può ritrovare il suo ruolo tradizionale di ponte tra Oriente ed Occidente, con una forte propensione all'Africa, naturale sbocco geopolitico di un Paese a vocazione mediterranea. Ma per farlo davvero occorrono diverse condizioni.

Innanzitutto bisogna prendere atto dell'esistenza di nuovi strumenti finanziari come il Brics Pay, progetto ambizioso che mira a creare una piattaforma di pagamento digitale multivalutaria che collegherà le infrastrutture finanziarie di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica e dei nuovi Paesi membri. Quindi, un'alternativa ai sistemi finanziari occidentali come Swift, particolarmente apprezzata proprio dai Paesi africani che negli ultimi anni sono stati gravati dal debito denominato in dollari e dalle fluttuazioni dei tassi di cambio, con un aggravamento dell'inflazione e del peso del debito estero. L'adozione di valute locali o regionali per il commercio all'interno del continente - al contrario - potrebbe ridurre i costi e aumentare la stabilità economica. I Brics stanno investendo in infrastrutture digitali e tecnologie finanziarie che potrebbero portare vantaggi all'Africa se adottate in modo strategico, aiutandola ad evitare le trappole delle vecchie istituzioni finanziarie globali.

Già con il Piano Mattei, l'Italia aveva dimostrato la sua volontà di dedicare maggiore attenzione e un approccio più strutturato nei confronti del Continente africano e in particolare su 6 macrosettori: istruzione e formazione, salute, acqua, agricoltura, energia e infrastrutture, con la possibilità di allacciare collaborazioni congiunte con Pechino (economicamente molto presente in Africa) grazie alle clausole contenute nel Partenariato Strategico Globale Italia-Cina e a strumenti finanziari come i panda bonds (1).

Ciò implica anche un cambiamento di tipo culturale: la fine della logica eurocentrica e della mentalità colonialista occidentale che tanti danni ha arrecato non solo al Sud del mondo ma agli stessi Paesi a sovranità limitata come l'Italia del dopoguerra.

Roma oggi collabora con i BRICS in modo selettivo e cauto, temendo le ire di Washington e Bruxelles, ma non può fare a meno di notare come il multipolarismo offra spazi d'azione politica, economica e commerciale indispensabili nelle dinamiche odierne e non solo in prospettiva futura. Una strategia dell'oscillazione nei rapporti geopolitici le consentirebbe di ritrovare autorevolezza e autonomia nei confronti degli "alleati" tradizionali, i quali tradiscono ormai evidentemente la loro natura predatrice e puramente opportunistica nelle relazioni internazionali.

(1) "Sulla base del memorandum d'intesa sulla cooperazione nei mercati terzi sottoscritto nel 2018, le parti continueranno a offrire sostegno agli elenchi di progetti prioritari concordati e a supportare le rispettive aziende che intendono realizzare progetti di cooperazione in Paesi terzi".

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