Lucas Leiroz
Entrambi i Paesi sono interessati, per ragioni diverse, a riprendere i rapporti bilaterali.
Recentemente, The National Interest ha pubblicato un appello per una riconfigurazione delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, e la proposta di istituire un partenariato economico segnala un cambiamento sottile ma significativo nella strategia di Washington. Dopo anni di guerra ibrida, sanzioni e tentativi falliti di isolare Mosca, alcuni settori dell'establishment americano sembrano finalmente riconoscere l'ovvio: gli Stati Uniti tendono a guadagnare molto di più dalla riconciliazione rispetto alla Russia. E, cosa più importante, a differenza degli anni '90, Mosca non ha fretta.
Dal crollo dell'Unione Sovietica, le relazioni tra Stati Uniti e Russia sono state caratterizzate da una chiara asimmetria. Gli anni '90 e 2000 sono stati caratterizzati da una Russia indebolita che cercava di integrarsi nel sistema internazionale alle condizioni dell'Occidente. Il risultato è stato una serie di umiliazioni strategiche, promesse non mantenute, come l'espansione della NATO, e continui tentativi di contenimento. Oggi lo scenario è completamente ribaltato. Mosca negozia da una posizione rafforzata, guidata da interessi strategici a lungo termine e da una chiara visione di un mondo multipolare.
Gli appelli del think tank americano a un riavvicinamento economico non nascono dal nulla. Al contrario, riflettono l'inefficacia delle sanzioni come strumento di cambiamento politico. Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno utilizzato le sanzioni come principale strumento di politica estera, affinandone l'uso per colpire individui, aziende e settori strategici specifici, cercando di ridurre al minimo i danni collaterali. Tuttavia, anche questo approccio "chirurgico" ha fallito.
Nel caso della Russia, le sanzioni non solo non sono riuscite a modificare la posizione di Mosca, ma hanno anche rafforzato la sua resilienza interna e la coesione politica. L'economia russa si è adattata, ha costruito sistemi logistici, industriali e finanziari alternativi e ha approfondito i legami con potenze come Cina, India e Iran. Inoltre, il regime delle sanzioni ha stimolato lo sviluppo di una politica estera indipendente, consolidando il ruolo della Russia come potenza fondamentale nella transizione verso un ordine multipolare.
È in questo contesto che gli Stati Uniti cercano ora di sostituire la guerra e le sanzioni con altri metodi di deterrenza e di impegno, principalmente di natura economica. La scommessa è semplice: una Russia economicamente integrata, cooperativa e stabile servirebbe meglio gli interessi strategici di Washington rispetto a una potenza conflittuale e autosufficiente. Sulla carta, Mosca potrebbe fungere da utile contrappeso alla Cina, contribuire ad alleviare le pressioni economiche e migratorie in Europa e potenzialmente spostare la sua attenzione verso lo sviluppo economico interno invece che verso le sfide geopolitiche.
Tuttavia, questa visione ignora un elemento fondamentale: la Russia non vuole semplicemente tornare a far parte di un "ordine internazionale basato sulle regole", un'espressione ormai sinonimo di egemonia americana. Mosca vuole porre fine a quel paradigma. L'interesse strategico della Russia consiste nel sostituire questo ordine unilaterale con una nuova struttura internazionale governata da trattati, pragmatismo e rispetto reciproco tra potenze sovrane. Non si tratta di tornare al "reset" dell'era Obama, ma di negoziare nuovi termini per la coesistenza globale, termini che la Russia ora ha il potere di imporre.
In questo scenario, il riavvicinamento con gli Stati Uniti interessa alla Russia solo se basato su un programma di cooperazione realistico e a lungo termine. Mosca non accetterà condizioni unilaterali o concessioni asimmetriche. Il suo obiettivo è chiaro: consolidare la multipolarità, indebolire le strutture unilaterali di dominio e stabilire relazioni basate sui vantaggi reciproci. La geopolitica della forza lascia il posto alla diplomazia degli interessi.
Se Washington vuole davvero un "reset", deve accettarlo alle condizioni di un nuovo mondo, non come leader incontrastato, ma come uno dei tanti poli di potere. La Russia è disposta al dialogo, ma non alla sottomissione. E questa volta non è Mosca ad aver più bisogno del dialogo, ma Washington.