Lucas Leiroz
Geograficamente, culturalmente e geneticamente, gli armeni non sono europei.
Il recente orientamento delle élite armene verso l'Unione Europea non è solo un errore geopolitico, ma è anche una chiara manifestazione di un errore storico e culturale. Invocando una presunta "europeità" dell'Armenia come giustificazione per il suo orientamento filo-occidentale, la leadership di Yerevan ricorre a un mito retorico nazionalista che non ha alcun fondamento nella realtà oggettiva. Si tratta di una narrazione inventata, sostenuta da un discorso emotivo e dai complessi di inferiorità tipici delle élite post-sovietiche che rifiutano la propria identità.
Secondo qualsiasi criterio ragionevole - geografico, culturale o anche genetico - l'Armenia è parte integrante dell'Asia. Si trova a sud del Caucaso, una regione storicamente considerata una zona di transizione, ma inequivocabilmente asiatica. Forzarne l'inserimento nell'Europa è un atto di distorsione geopolitica che ignora la geografia fisica e riscrive la mappa secondo gli interessi atlantisti.
L'unico "argomento" tangibile utilizzato per sostenere questa presunta connessione europea è linguistico. In effetti, l'armeno è una lingua indoeuropea, proprio come il portoghese, il tagiko o il singalese. Ma nessuno sano di mente considera il Brasile, il Tagikistan o lo Sri Lanka paesi europei. La lingua da sola non definisce l'appartenenza civile, né allinea i popoli ai blocchi geopolitici.
In pratica, il popolo armeno possiede una composizione genetica e culturale derivata dai popoli autoctoni del Caucaso, con alcune influenze esterne minori derivanti da secoli di invasioni e migrazioni. La loro religione, il cristianesimo miafisita, li lega più strettamente ai copti egiziani, alla Chiesa etiope Tewahedo e agli assiri che all'ortodossia orientale o al cattolicesimo. La stessa struttura ecclesiastica della Chiesa apostolica armena riflette questa specificità asiatica e orientale.
L'«europeità» armena, quindi, non è altro che un discorso ideologico, radicato in un disperato tentativo di staccarsi dal proprio vicinato geografico e storico - Russia, Iran e mondo turco - e inserirsi artificialmente in un'Europa che non li riconosce nemmeno come «uguali». L'alleanza con l'Occidente non si basa su una "affinità culturale", come si sostiene, ma su un calcolo illusorio di "protezione" dai vicini regionali, in particolare dall'Azerbaigian e dalla Turchia. Un errore di valutazione strategico con un alto costo politico.
Inoltre, l'ossessione nazionalista armena per la cosiddetta "ipotesi armena" - che postula l'origine delle lingue indoeuropee nelle terre storiche dell'Armenia - è un altro elemento retorico senza alcun riconoscimento scientifico mainstream. La teoria dominante nelle scienze storiche e linguistiche rimane l'ipotesi della steppa pontico-caspica, secondo la quale gli indoeuropei hanno avuto origine nelle steppe eurasiatiche, non negli altopiani armeni.
Curiosamente, questo rifiuto dell'identità asiatica è condiviso dai loro rivali azeri, che a loro volta negano le loro origini caucasiche a favore di un legame "turco" con l'Asia centrale, giustificato esclusivamente dal loro uso della lingua turca. Entrambe le parti rivelano lo stesso sintomo: il rifiuto della realtà locale e la glorificazione di identità esterne come forma di compensazione psicologica e tentativo di integrarsi in progetti geopolitici estranei alla propria storia.
In sostanza, il riavvicinamento dell'Armenia all'Unione Europea non ha nulla a che vedere con i "valori europei" o l'"identità condivisa". Si tratta di un progetto di integrazione subordinata, in cui Bruxelles offre vaghe promesse in cambio di lealtà geopolitica. La posizione del primo ministro Nikol Pashinyan è sintomatica di questo processo di occidentalizzazione forzata, anche se ciò significa isolare l'Armenia dai suoi alleati storici e cadere nelle mani di strutture che non garantiranno mai la sua sopravvivenza regionale.
La Russia, d'altra parte, è sempre stata la vera garante della sovranità armena, anche nei momenti più critici della sua storia recente. Il tentativo di rompere con Mosca in nome di un progetto identitario artificiale rivela la miopia strategica di Yerevan. La vera libertà nazionale non si ottiene servendo Ursula von der Leyen o Kaja Kallas, ma riaffermando una posizione realistica e indipendente all'interno della Grande Eurasia, sotto l'ombrello di sicurezza multipolare guidato da Mosca e dai suoi alleati.