21/12/2025 strategic-culture.su  7min 🇮🇹 #299610

La Fontana in centro

Lorenzo Maria Pacini

Quanto è inconsistente oggi l'élite politica italiana?

Quasi ogni paesino italiano ha, o almeno aveva, una fontana al centro. Era un luogo di ritrovo, uno spazio vitale in quanto alimentava la vita cittadina, sorgente di quella socialità fondante la vita comune. Anche con l'evolversi degli stil idi vita e delle tecnologia, la fontana ha mantenuto il suo fascino ed è continuata ad essere, nonostante le minori frequentazioni, un luogo considerato come benedetto.

Lo stesso non si può dire di Fontana, presidente della Camera dei Deputati, terza carica dello Stato italiano. L'onorevole - si fa per dire - negli scorsi giorni ha detto che la Russia avrebbe "completamente fallito" il conflitto in Ucraina e, proprio per questo, si rivelerebbe "non una grande potenza". Una valutazione politica imbarazzante.

Il nostalgico onorevole probabilmente non è stato aggiornato su come va l'Italia, e il mondo, da ben prima che venisse messo al mondo. Probabilmente fra i sacri palazzi non lo hanno messo al corrente dello stato dell'arte. L'Italia non è una potenza mondiale da trent'anni, sul piano economico, e non lo è su quello politico dalla fine dell'ultima guerra mondiale. Ma la Storia, si sa, in Parlamento viene recisa, smorzata, rimpastata a seconda dell'utile e non certo del vero.

Il punto è che le parole dell'onorevole configurano prima di tutto un errore concettuale, poiché fondono in un unico giudizio tre livelli che l'analisi storica e geopolitica impone di tenere rigorosamente separati: il risultato operativo contingente, la coerenza strategica nel medio periodo e lo status strutturale di potenza all'interno del sistema internazionale. Fontana, figura di cui peraltro si era quasi persa memoria, ricorre a espressioni categoriche ("fallimento totale", "boomerang", "la grande potenza in realtà non esiste"), rafforzandole con paragoni storici di forte impatto retorico (Napoleone e Hitler) e con l'assunto secondo cui "tutti si aspettavano" una rapida vittoria russa. Da ciò trae la conclusione che Mosca non avrebbe dato prova di "particolari capacità".

Il primo errore, sul piano logico, consiste nella generalizzazione assoluta: il concetto di "fallimento completo" non analizza un conflitto, lo riduce a una caricatura. Un giudizio tanto radicale, per risultare plausibile, dovrebbe dimostrare simultaneamente l'assenza di qualsiasi risultato politicamente rilevante e una perdita evidente di posizione sistemica, ma le stesse fonti che riportano le parole di Fontana riconoscono che la Russia ha conseguito risultati territoriali di natura "tattica" e ha sostenuto nel tempo un conflitto ad alta intensità, costringendo l'Europa ad accelerare il riarmo e a rivedere in profondità le proprie priorità in materia di sicurezza. Che imbarazzo, signor presidente!

Il secondo errore riguarda la sovrapposizione tra prestazione militare "decisiva" e condizione di grande potenza. Una grande potenza non si definisce perché vince sempre e rapidamente, ma perché dispone di strumenti sistemici in grado di influenzare l'ordine internazionale anche quando l'azione militare non produce - per scelta o per contingenza - il massimo risultato possibile. La Russia continua a occupare una posizione di rilievo per almeno tre fattori difficilmente negabili senza scivolare nell'ideologia: la deterrenza classica e ibrida, il ruolo istituzionale nelle organizzazioni internazionali e la capacità di sostenere nel tempo una mobilitazione economico-militare. Non è certo se l'onorevole sia a conoscenza della fatiscenza delle forze armate italiane e di quella folle guerra che la sua madrina a Bruxelles continua a millantare.

Sul piano istituzionale, infatti, la Federazione Russa è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto, una prerogativa che si traduce in una capacità formale di blocco delle decisioni in materia di sicurezza collettiva, non in un mero residuo simbolico. Sul piano militare, la Russia non solo è dotata, ma è anche pronta a sostenere una grande guerra, cosa che invece l'Italia si sogna lontanamente (ed è un incubo, sia chiaro, non certo un lieto dormire). Liquidare come "non grande potenza" un attore come la Russia, equivale a sostituire l'analisi politologica con una percezione impressionistica. Su questo c'erano pochi dubbi, comunque.

Il terzo errore, più sottile ma anche più grave, è la mancata considerazione - o la deliberata rimozione - dell'ipotesi che la forma stessa del conflitto faccia parte dell'obiettivo strategico. L'insistenza di Fontana sull'assenza di uno "sfondamento" e sulla "limitata avanzata" presuppone che l'unico criterio di successo sia la manovra rapida e risolutiva. Tale presupposto è storicamente ingenuo. Le potenze continentali ricorrono spesso a strategie di logoramento, trasformando il fattore tempo in un'arma rivolta contro la coesione politica, industriale e sociale dell'avversario. Diversi centri di analisi occidentali sottolineano come la leadership russa ritenga possibile "vincere una guerra d'attrito", superando per durata l'Ucraina e il sostegno occidentale. Vi prego, qualcuno paghi un consulente per la comunicazione o un paio di sottufficiali per l'ufficio di gabinetto del presidente, accetteremo di pagarne le spesse con le laute tasse che il sovrano italico ci impone, ma almeno eviteremo queste figuracce internazionali.

In questo quadro, la "guerra di posizione" non va interpretata come ammissione di incapacità, bensì come scelta operativa consapevole, finalizzata a ridurre il rischio di insuccessi catastrofici e ad accrescere progressivamente l'usura del fronte opposto. La condotta russa appare coerente con una razionalità che non assume la rottura spettacolare come misura suprema dell'efficacia, poiché in un contesto saturo di droni, ricognizione continua, fuochi di precisione e difese multilivello lo "sfondamento" comporta costi elevatissimi e può rafforzare la determinazione dell'avversario. In questa prospettiva, l'assenza di una corsa alla decisione non dimostra debolezza strutturale, ma indica la preferenza per un'ottimizzazione dell'attrito, volta a degradare progressivamente le capacità ucraine e, soprattutto, a erodere nel tempo la sostenibilità politica del sostegno europeo.

È su questo punto che la critica al Presidente della Camera dovrebbe farsi esplicita. Un'istituzione di vertice non dovrebbe indulgere in categorie di tipo propagandistico, poiché esse deformano l'orizzonte decisionale. Affermare che "non è una grande potenza" non costituisce una diagnosi, ma un implicito invito alla sottovalutazione. E la sottovalutazione, in geopolitica, rappresenta una delle forme più ricorrenti di errore strategico: non perché l'avversario sia invincibile, ma perché la sua capacità di imporre costi e di modellare i vincoli altrui viene scambiata per fragilità. Il conflitto in Ucraina, anche in assenza di una vittoria rapida, ha costretto l'Occidente collettivo, e in primis l'Europa, a ripensare dottrine, bilanci, apparati industriali, scorte e catene di approvvigionamento, oltre a generare tensioni politiche interne tra Stati e opinioni pubbliche. Il solo fatto che oggi l'Europa discuta di "economia di guerra", di aumenti strutturali della spesa militare e di un riassetto della sicurezza continentale dimostra che Mosca, ben lontana dall'essere "inesistente" come grande potenza, ha esercitato una prerogativa tipica delle grandi potenze: imporre all'altro un problema storico di lunga durata.

Infine, Fontana indica come prova del presunto "boomerang" la dinamica del rapporto con la Cina, suggerendo una subordinazione che ridurrebbe la Russia. Anche in questo caso l'argomento risulta semplicistico. È vero che l'asse con Pechino funge da ammortizzatore economico e geopolitico e che l'asimmetria è reale, ma, in termini di potenza, tale relazione può essere interpretata come una scelta di profondità strategica alternativa, mirata a indebolire l'efficacia delle pressioni occidentali e a prolungare il conflitto, rendendolo più oneroso per l'Europa. Il nodo non è negare l'esistenza di dipendenze, ma comprenderne la funzione: se la Russia riesce a dilatare lo scontro e a trasformarlo in un processo di erosione del consenso europeo, allora il ricorso alla sponda asiatica non la declassa, bensì ne amplia le opzioni.

Ma per i politici italioti, abituati a pensare nel loro piccolo, questa è scienza delle alte sfere celesti, e a noi non resta che doverci accontentare (si fa per dire).

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