
Davide Rossi
Il mondo ha sete, stretto tra guerre combattute a colpi di cannoni ed altre commerciali ed economiche. Tuttavia molte crisi in giro per il pianeta sono innescate dal controllo delle acque, dall'edificazione delle dighe, dalla siccità che inaridisce la portata di molti fiumi e dall'agricoltura per come è oggi organizzata, la quale consuma lo sproposito del 75% di tutte le acque dolci disponibili sulla terra.
Già un quarto di secolo fa il professor Riccardo Petrella segnalava per l'umanità un destino tribolato in questo nuovo millennio, laddove non si fosse proceduto a una regolamentazione pubblica dell'acqua, stretta tra sprechi, accaparramenti privati, conflitti tra nazioni.
L'Etiopia, per dare necessariamente acqua alla sua agricoltura, ha portato a compimento una diga sul Nilo che rischia di innescare una crisi politica con l'Egitto, il quale dal fiume trae principalmente l'acqua per i suoi centoventi milioni di abitanti e soprattutto i venti milioni del Cairo, così come con il Sudan, quando riemergerà dalla guerra civile tragicamente in corso.
Sullo Yarlung Zangbo i cinesi stanno edificano una poderosa diga, chiamata Nyingchi, destinata a fornire acqua a una centrale elettrica in grado di generare 300 miliardi di kilowattora di elettricità, pari al 3% dell'attuale fabbisogno elettrico annuale dell'intera Cina, preoccupando non poco gli indiani, poiché il fiume, passata la frontiera, cambia nome e diventa il Brahmaputra, prima di raggiungere il Bangladesh, dove confluendo nel Gange, verso il delta di quest'ultimo, sfocia nel golfo del Bengala, dopo aver rifornito dell'acqua necessaria centottanta milioni di bengalesi.
Allo stesso modo gli indiani, alla ricerca di energia elettrica e anche loro di acqua per i loro coltivatori, stanno edificando una diga sull'Indo, riducendo di molto la portata del fiume verso il Pakistan, allo stesso modo si stanno comportando con il fiume Chenab, il problema è che questi due fiumi rappresentano di fatto la quasi totalità dell'approvvigionamento pakistano, innescando una crisi tanto agricola, quanto idrica, oltreché impantanando il sistema elettrico pakistano e mettendolo a rischio di ricorrenti blackout.
Gli indiani per altro sono un sesto della popolazione mondiale, ma dispongono solo di un ventesimo delle risorse idriche planetarie e le piogge monsoniche estive non riescono più a ricostituire le riserve di acque sotterranee accumulate nel corso dei secoli. Tutto questo rende sempre più fragile il Trattato sulle acque dell'Indo del 1960 tra Pakistan e India, con il primo a cui sono stati riconosciuti diritti preponderanti sui tre fiumi: Indo, Jhelam e Chenab, mentre la seconda dovrebbe accontentarsi dei sempre più rinsecchiti: Ravi, Beas e Satluj.
A Teheran vivono dieci dei novanta milioni di iraniani, in larga parte giovanissimi, i quali sono agitati per il problema dell'acqua molto più dell'eventuale ripresa dell'aggressione sionista. Infatti le dighe che riforniscono la capitale sono a livelli talmente bassi da compromettere l'afflusso necessario, così come i corsi d'acqua che li alimentano sono prossimi al prosciugamento, la piovosità è sempre più scarsa, il caldo sempre più intenso, non solo d'estate, favorendo l'evaporazione e il sovrasfruttamento delle falde acquifere per l'utilizzo domestico, così come per l'agricoltura e per l'industria, al punto che questa situazione sta convincendo gli ayatollah a immaginare un trasferimento della capitale. Non ha molta più acqua il confinante Turkmenistan e con l'Afghanistan gli iraniani sono in perenne diatriba per la quantità d'acqua che giunge dal fiume Helmand, presso cui i talebani hanno da poco inaugurato una nuova diga a ridosso del confine, la quale drena una parte considerevole delle acque, tuttavia gli stessi iraniani non diversamente sono costretti a comportarsi con la diga del fiume Sirvan, la quale convoglia la parte maggiore delle acque verso la provincia iraniana del Khuzestan, trasformandosi in un rigagnolo quando entra in Iraq diventando Diyala, mettendo i contadini iracheni nella tragica condizione di vedere rinsecchire i loro campi sempre più aridi. Restando in Iran esiste anche il problema delle falde acquifere, città come Teheran, Isfahan e Kerman, così come un altro quarto della popolazione, vive in aree minacciate, in varia misura, dalla subsidenza, ovvero la terra sprofonda, tra abbassamenti costanti e crateri improvvisi.
Un tempo cuore della Mesopotamia, oggi l'Iraq è afflitto da scarsità d'acqua, peggiorata dalle dighe turche sul Tigri e sull'Eufrate, capaci di contenere una parte considerevole dell'afflusso dei due storici fiumi, i quali terminano sempre più stentatamente il loro percorso nello Shatt el-Arab, prima di gettarsi nel golfo Persico, dopo aver alimentato quasi tutte le città della nazione da Mosul a Bassora, passando per la capitale Baghdad.
A Kabul in un quarto di secolo la popolazione è raddoppiata ed è oggi di cinque milioni di abitanti, un decimo dei cinquanta milioni dell'intera nazione, la cui acqua proviene quasi interamente dallo scioglimento delle nevi, le quali di anno in anno si riducono, rappresentando una grave minaccia per le riserve idriche afgane. I talebani, pur considerando anche le falde acquifere disponibili, hanno comunicato che già in questo 2025 i consumi della popolazione sono superiori alla capacità rigenerative del ciclo dell'acqua, paventando una situazione drammatica per i prossimi anni. Si corre contro il tempo per ultimare l'acquedotto del Panjshir, fiume chiamato a trasportare l'acqua dall'omonima valle verso la capitale afgana, in egual modo si sta ragionando di costruire una diga a Shatoot sul fiume Kabul, rischiando di accendere il conflitto con i pakistani, anch'essi come detto sempre più bisognosi d'acqua. Il fiume Kabul d'altronde è la principale fonte d'acqua della città di Peshawar e della regione omonima circostante, tuttavia già prima di varcare il confine, la diga di Jalalabad che alimenta la centrale idroelettrica di Naghlu è per larga parte dell'anno uno spettro rinsecchito, arrivando il fiume quasi in secca.
Non va meglio la situazione in Mongolia, anche qui nella capitale Ulaanbaatar, edificata massimamente dai sovietici nel quadro dell'amicizia tra le due nazioni socialiste nel corso del Novecento, vivono metà degli abitanti, un milione e settecento mila rispetto a tre milioni quattrocentomila cittadini, tuttavia il livello delle falde acquifere si sta irrimediabilmente riducendo e il fiume Tuul, che attraversa la città, si sta definitivamente prosciugando. Dopo una serie di progetti sconclusionati presentati negli anni passati, oggi si è deciso di spostare una parte rilevante degli abitanti e la capitale stessa presso l'antica Karakorum, fondata da Ogodei, figlio di Gengis Khan, un progetto futuribile, ma almeno autosufficiente, perché ideato con un sistema idrico ed energetico che dovrebbe riuscire a rispondere alle necessità.
Il Sud Globale primeggia per scarsità idrica, ma pure gli Stati Uniti non sono in buone acque. Il fiume Colorado è ridotto a un terzo della sua portata, dal Texas all'Arizona, per non dire della California e della sua produzione orto - frutticola, sono al disastro e si pone il problema del rifornimento tanto di molte città, quanto dei campi agricoli, la presunta potenza planetaria a stelle e strisce ha, secondo la Michigan State University, un decimo della popolazione, ovvero oltre trenta milioni di donne e uomini, in abitazioni senza accesso all'acqua corrente.
I messicani, per i quali le Nazioni Unite paventano una gravissima crisi di approvvigionamento per la metà del secolo, legati da accordi ottocenteschi con gli statunitensi per il consumo idrico, chiedono un adeguamento degli stessi in base alle precipitazioni effettive, ad essere danneggiate per altro sono anche le centrali idroelettriche, sempre meno capaci di rispondere ai consumi crescenti.
Tutte queste tensioni, l'elenco potrebbe proseguire molto più vasto attraversando tutti i continenti, si riverberano anche rispetto all'acqua potabile da bere, oltreché per le dette finalità domestiche e igieniche.
Il dato preoccupante registrato dagli organismi internazionali è anche quello di terreni agricoli sempre più salinizzati, livelli delle falde acquifere sempre più bassi, fiumi in fase di prosciugamento. Un capitolo a parte meriterebbero i ghiacciai, i quali in ogni caso stanno riducendosi su tutto il globo.
L'acqua, senza dubbio la risorsa più importante per la vita sulla terra, sta diventando sempre più rara e in molti casi viene tradito il suo valore di bene comune, per essere trasformata in merce, per altro sempre più costosa.
Le Nazioni Unite ricordano che il diritto all'acqua è prodromico di tutti gli altri, senza acqua, la vita e la salute diventano impossibili. Riducendosi l'igiene, aumentano le malattie, purtroppo l'acqua pulita e fruibile è sempre meno garantita a porzioni rilevanti dell'umanità, dunque la preservazione delle risorse idriche disponibili sta diventando una delle maggiori priorità planetarie, non riuscendoci, si rischia di innescare una molteplice serie di conflitti armati per il suo approvvigionamento e accaparramento.
La crisi dell'acqua ha insomma proporzioni devastanti e così in molte parti del mondo, a partire dal Medioriente, si stanno riscoprendo i progetti di desalinizzazione del suolo realizzati negli anni '70 da specialisti sovietici e tedesco - orientali e tuttavia applicati, almeno parzialmente, soltanto in Iraq.
Questo secondo quarto di XXI secolo rischia di vedere accrescere il numero di conflitti tra nazioni "a monte" che trattengono l'acqua e le nazioni "a valle" che ne vengono private, in egual modo cresce il risentimento del Sud Globale, indirettamente depredato dell'acqua dall'Occidente Collettivo, infatti il fabbisogno idrico di molte nazioni di Africa, Asia e America Latina è assorbito principalmente dalla produzione agricola alimentare, la quale prende tuttavia la strada dell'Occidente con le esportazioni, portando molti governi a immaginare, laddove non sia possibile aumentare i prezzi della materia prima, una tassa di compensazione. Appare altresì chiaro che la desalinizzazione dell'acqua di mare, la riduzione delle perdite idriche nelle condotte di approvvigionamento e il riutilizzo dell'acqua attraverso il riciclo, non siano ancora in grado di rispondere alla crisi idrica planetaria, portando con sé, con questo ritardo, tutti i rischi di conflitti altamente dirompenti.