02/08/2025 strategic-culture.su  9min 🇮🇹 #286080

« Fattore K » la guerra ibrida contro la Russia e la Cina ingaggiata dalla Sudcorea su mandato di Washington

Davide Rossi

Il "fattore - K" è quindi sostanzialmente, più ancora che un'espressione di soft power, una vera e propria guerra ibrida culturale contro il multipolarismo - e dunque contro la Russia e la Cina - ingaggiata dalla Sudcorea su mandato di Washington

Gli sforzi per un dialogo e una reciproca comprensione tra le due Coree hanno vissuto nel 2018 una fortunata e oramai lontana stagione, ai XXIII Giochi olimpici invernali svoltisi in Sudcorea a Pyeongchang le due nazioni hanno sfilato insieme durante la cerimonia di apertura e formato una squadra congiunta di hockey femminile. La delegazione coreano - popolare era guidata per l'occasione da Kim Yong Nam al tempo presidente dell'Assemblea Popolare e da Kim Yo Jong, sorella del presidente Kim Jong Un, nonché tutt'ora direttrice del Dipartimento Propaganda del Partito del Lavoro, il quale il prossimo 10 ottobre 2025 celebrerà i suoi ottant'anni.

Tra aprile e settembre 2018 Kim Jong Un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in si sono incontrati prima due volte a Panmunjeom ad aprile e a maggio nella zona demilitarizzata al confine tra i due stati, quindi, con l'arrivo del sudcoreano a Pyongyang, capitale della Corea Popolare, per un terzo vertice a metà settembre.

Anche il vertice indonesiano del giugno 2018 tra il presidente statunitense Donald Trump e Kim Jong Un e quello successivo in Vietnam del febbraio 2019 avevano indotto a sperare nel conseguimento di un percorso di denuclearizzazione della penisola coreana, prodromico dello stabilimento di relazioni sempre più aperte tra le due Coree, finanche ipotizzando la firma del trattato di pace chiamato a superare il cessate il fuoco del 1953 e un cammino federale congiunto per il futuro. L'ultimo momento di questo percorso di dialogo è stato l'incontro tra i due presidenti coreani e Donald Trump a Panmunjeom a fine giugno 2019.

La piena disponibilità alla denuclearizzazione avanzata dalla Corea Popolare si è scontrata con il rifiuto statunitense di procedere con la denuclearizzazione della Sudcorea, infatti Washington non ha mai accettato di chiudere le basi statunitensi sul suolo coreano, la precondizione posta da Pyongyang, ovvero una penisola coreana priva di basi militari straniere, così come quella di portare altrove e non lasciare in dotazione ai sudcoreani aerei militari con testate nucleari. Insomma per la Corea Popolare la denuclearizzazione non poteva essere unilaterale e riguardare una sola delle due parti e giustamente e ragionevolmente doveva coinvolgere l'interezza del territorio coreano, dunque entrambe le nazioni.

Da allora l'auspicio di una prossima riunificazione del popolo coreano e la certo evidente distensione nelle relazioni bilaterali di quei mesi ha lasciato nel corso degli anni successivi spazio al ripristinarsi di relazioni tese e a dichiarazioni duramente contrapposte, anche in ragione dell'ostilità sudcoreana per la solida alleanza della Corea Popolare con la Cina e la Russia nella costruzione multipolare.
D'altro canto i sudcoreani si sono prestati da allora a un coinvolgimento militare e culturale sempre più massiccio di Seoul nel campo unipolare statunitense, come preteso dalla Casa Bianca, la quale ha anche incoraggiato e fomentato l'affermazione planetaria del "fattore K", una diffusione capillare e non casuale, a partire dalla musica K - pop fino ai K - movies e ai K - dramas, ovvero produzione, promozione e distribuzione di film e serie televisive sudcoreane, un percorso di intrattenimento musicale e mediatico pensato espressamente per ancorare le giovani generazioni asiatiche al campo occidentale, poi debordato, per la stessa volontà politica, a livello planetario. La vittoria al Festival di Cannes del 2019 del film "Parasite" di Bong Joon-ho e la conseguente assegnazione di quattro hollywoodiani premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatura ne è la diretta conseguenza, al pari della promozione con tanto di articoli e di servizi televisivi avviata in tutto il mondo nell'autunno 2021 per sostenere il successo della serie televisiva "Squid Game". Quando taluni hanno invece provato a proporre qualche pellicola della Corea Popolare ai tanti festival europei, spiegando la vivace e interessante produzione di Pyongyang, le porte sono state velocemente e repentinamente chiuse con molto astio.

Nel frattempo nei media occidentali la breve attenzione verso la Corea Popolare della stagione 2018 - 2019 ha lasciato immediatamente il passo alla solita propaganda negativa del tutto disinteressata a comprendere le ragioni e il funzionamento di una nazione di orientamento marxista, la quale negli ultimi trent'anni ha scelto un percorso originale di costruzione del socialismo.

La propaganda del "fattore - K" negli ultimi anni è diventata invece sempre più martellante in Occidente come in tutto il pianeta, intanto denigrando o più facilmente eclissando l'altra metà della penisola, quasi non esistesse, quindi promuovendo con insistenza mediatica la presunta bellezza della società sudcoreana che si muove al ritmo delle effimere melodie musicali propalate sotto ogni latitudine, ovviamente occultando i ritmi di lavoro forsennati e senza tutela sindacale, le migliaia di giovani espulsi dal sistema e costretti a vivere ai margini, l'altissima frequenza di suicidi tanto tra i ragazzi, quanto tra gli adulti e gli anziani.

Per i media quello che conta è solo l' "hallyu", la cosiddetta "onda coreana", il progetto politico volto a fomentare globalmente la popolarità di tutto ciò che è sudcoreano e ad alimentarla con costanza e certosina programmazione, tutti i settori coinvolti sono sostenuti e finanziati copiosamente dal governo, dai privati e dall'amministrazione di Washington, con una strategia mediatica aggressiva, ma apparentemente amichevole e avvincente, chiamata a bombardare i social, su cui le giovani generazioni passano ore e ore delle loro giornate, in ogni angolo del globo.

I privati sono rappresentati dai "chaebol", le grandi famiglie industriali che scandiscono i tempi della vita dei sudcoreani e dettano l'agenda politica. Sono i colossi che da meno di mezzo secolo, su impulso statunitense, hanno portato alla trasformazione industriale della nazione: Samsung, non solo nel settore della telefonia, ma anche in quello militare, parte preponderante della K - army, anch'essa assiduamente implementata, Hyundai, Kia Motors, LG e SK Hynix, produttrice di semiconduttori, ma attiva anche nel campo dell'energia, delle telecomunicazioni e della chimica, Posco, produttrice di acciaio, Hanwha Techwin nel settore militare e della sicurezza. Ognuna di queste aziende possiede immobili e grattacieli, gestisce ospedali, teatri, assicurazioni, musei, grandi magazzini, aziende collaterali e dell'indotto. Una macchina tanto pervasiva e insistente che si è dotata di una tra le ultime arrivate tra i "chaebol", la Naver, una piattaforma online, di fatto la sola, escludendo la Cina e la Russia che hanno i loro motori di ricerca, totalmente onnioperativa e capace di essere alternativa a Google.
Il megafono propagandistico è assiduamente sostenuto dalla politica sudcoreana che ha tutto l'interesse a lanciare con costanza giovani latori del "fattore - K", in cui la kappa, ovviamente è pronunciata all'inglese come "key", nel suo duplice significato di nome della lettera e "chiave" per scardinare con sorridente gentilezza l'immaginario personale e collettivo soprattutto delle giovani generazioni planetarie, una costruzione assolutamente gramsciana di egemonia volta a portare all'identificazione di "asiatico" con "coreano", scalzando il Giappone con la sua declinante economia e gli obsoleti manga e contrastando il più possibile, per evidenti finalità politiche, ambite anche dall'alleato a stelle e strisce, la capacità d'attrazione cinese, forte della sua preponderante potenza innovativa, tanto economica e quanto tecnologica e informatica.

Fondamentale in questo progetto la K - culture, volta a promuovere la letteratura sudcoreana, con generosi sostegni alla traduzione e pubblicazione elargiti a svariati editori occidentali, così come le pressioni per ottenere premi prestigiosi, coronati con il premio Nobel per la Letteratura del 2024 assegnato alla scrittrice Han Kang, già vincitrice nel 2016 di un altro premio internazionale per il suo romanzo intitolato, guarda caso, "La vegetariana". Nella K - culture rientra la ricerca del sostegno dei governi occidentali per promuovere forum bilaterali al fine di rafforzare i rapporti economici e culturali e al contempo il dispiegamento di ogni sorta di iniziativa in Asia e in tutto l'Occidente per la promozione della Sudcorea, dalle rassegne cinematografiche ai corsi di lingua gratuiti, in questo caso chi vi partecipa deve però mostrare entusiastico entusiasmo per qualsiasi espressione dell'aggressiva e poliedrica "hallyu", ovvero come detto la cosiddetta "onda coreana", se il partecipante non si esprime come un devoto già conquistato o peggio pare poco disposto a diventarlo, viene guardato con sospetto, se addirittura per azzardo manifesta simpatia per la Corea Popolare più che per la Sudcorea, viene presto convinto ad abbandonare il corso, insegnare la lingua coreana agli amici di Pyongyang infatti è proprio quello che Seoul non vuole per nessun motivo e per nessuna ragione.
Ultime frontiere del "fattore - K" sono il K-food, ovvero la cucina coreana sostenuta a colpi di piccantissimo kimchi, il cavolo fermentato celebre sui due lati del 38° parallelo, la K- beauty, con la cosmesi biologica e vegana per non invecchiare mai, quindi il K - tech, per abitazioni dal design minimalista e infine la K - fashion, volutamente e ferocemente unisex, per la gioia della confusione di genere promossa da tempo dalla macchina propagandistica occidentale.

Il "fattore - K" ovviamente diventa anche un volano turistico, supportato dal rilancio social di video di adolescenti europei, africani, latino-americani e asiatici che sognano di coronare la loro maggiore età con un viaggio a Seoul.

È abbastanza divertente constatare che della Corea Popolare si dica spesso che sia governata dalle tradizioni, dal paternalismo e dal senso sacro della gerarchia, poi indagando sulla Sudcorea si scopre, a detta di tutti gli esperti che arrivano a scriverlo e dichiararlo in saggi universitari e in video - interviste, ovviamente però questi molto poco sponsorizzati, che proprio quelli siano anche i valori che determinano la quotidianità della vita dei sudcoreani, in una unità nazionale tanto prevedibile quanto nascosta, perché ai promotori del "fattore - K" tanta evidente identità con Pyongyang dà certamente molto fastidio.

Il "fattore - K" è quindi sostanzialmente, più ancora che un'espressione di soft power, una vera e propria guerra ibrida culturale contro il multipolarismo - e dunque contro la Russia e la Cina - ingaggiata dalla Sudcorea su mandato di Washington, un'arma di proporzioni fenomenali e del tutto sottovalutata anche dagli osservatori più attenti.

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