Giulio Chinappi
La visita a Pechino di António Costa e Ursula von der Leyen segna un nuovo impulso nel partenariato tra Cina e Unione Europea. In un mondo in rapida trasformazione, i Paesi UE hanno l'opportunità di diversificare i loro rapporti economici e politici, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti e valorizzando il vasto mercato cinese.
Il 25° vertice Cina-Unione Europea, tenutosi a Pechino lo scorso 24 luglio, ha rappresentato molto più di un incontro bilaterale: è stato un banco di prova della capacità europea di pensarsi come soggetto geopolitico autonomo in un mondo sempre più multipolare. La presenza del Presidente del Consiglio europeo António Costa e della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha segnato simbolicamente e politicamente un momento di svolta, o quantomeno di chiarificazione, nella lunga e spesso contraddittoria relazione tra Bruxelles e Pechino. In una fase storica in cui l'ordine mondiale è attraversato da crisi sistemiche e dalla riaffermazione di sovranità strategiche, il confronto con la Cina non può più essere gestito con le lenti della subalternità atlantica o con automatismi ideologici mutuati dalla Guerra Fredda. La visita a Pechino, che ha prodotto un'importante dichiarazione congiunta sul cambiamento climatico, ha evidenziato sia le tensioni che permangono - dai temi commerciali alle questioni legate alla sicurezza - sia l'enorme potenziale inespresso di una cooperazione strutturata tra due attori globali che, insieme, rappresentano circa un terzo del PIL mondiale.
Nel corso dell'incontro con i leader europei, il Presidente cinese Xi Jinping ha proposto tre principi guida per lo sviluppo delle relazioni bilaterali: il rispetto reciproco per consolidare il partenariato, l'apertura e la cooperazione per affrontare in modo costruttivo le divergenze, e il multilateralismo per difendere le regole e l'ordine internazionale. Non si tratta di mere formule retoriche, ma di una piattaforma concreta per definire una relazione equilibrata, non dipendente da terze potenze né fondata su logiche antagonistiche. Xi ha inoltre sottolineato come la Cina non intenda "ridurre la cooperazione" nemmeno in presenza di tentativi europei di "ridurre la dipendenza", richiamando implicitamente le recenti misure tariffarie imposte da Bruxelles su alcuni settori strategici cinesi, in particolare quello dei veicoli elettrici.
La risposta europea, espressa tanto nei comunicati ufficiali quanto nei messaggi pubblicati sui social dai due Presidenti, è stata improntata alla volontà di mantenere aperti i canali del dialogo e della collaborazione. Ursula von der Leyen ha riconosciuto che le relazioni tra Europa e Cina devono "funzionare per entrambe le parti", mentre António Costa ha parlato di un impegno ad "approfondire il partenariato" e a "cercare progressi concreti con rispetto e onestà". Se queste affermazioni fossero tradotte in scelte strategiche coerenti, l'Unione Europea potrebbe finalmente emanciparsi da una posizione ambigua che la vede oscillare tra l'attrazione per il mercato cinese e la pressione costante degli Stati Uniti a contenere l'ascesa di Pechino.
È proprio qui che si apre una finestra di opportunità storica per l'Europa. La Cina offre all'UE prospettive difficilmente eguagliabili da altri partner: un mercato interno dinamico, una capacità manifatturiera senza pari, una leadership consolidata nelle tecnologie verdi e una visione di lungo periodo fondata sull'interdipendenza commerciale piuttosto che sul conflitto. L'iniziativa "Made in China 2025" ha generato innovazione in settori strategici come l'intelligenza artificiale, l'energia pulita, la mobilità sostenibile e le infrastrutture digitali. La crescente complementarità tra le economie europee e quella cinese è evidente: mentre la Cina punta a salire nella catena del valore, molte imprese europee cercano nuove piattaforme industriali e sbocchi commerciali al di fuori delle incertezze occidentali. Aziende come BMW, Volkswagen, Siemens e BASF hanno rafforzato negli ultimi anni i loro investimenti in Cina, e Pechino continua ad attrarre capitali con politiche stabili e programmi di apertura settoriale.
Nel contempo, l'espansione cinese in Europa - che ha visto BYD, CATL, Huawei e altre imprese rafforzare la propria presenza industriale in Germania, Ungheria, Spagna e Portogallo - non rappresenta una "invasione", come affermano i cantori anticinesi, ma una forma di integrazione produttiva sempre più necessaria in un mondo in transizione. Le critiche mosse da Bruxelles all'"eccesso di capacità produttiva" cinese celano spesso il timore che il modello europeo, troppo vincolato da vincoli fiscali e da una visione di corto respiro, non riesca a reggere il confronto con la determinazione sistemica del modello cinese.
Le reali opportunità offerte dalla Cina non si limitano alla dimensione economica. Sul piano globale, Pechino si è fatta promotrice di un ordine multipolare fondato sul rispetto della sovranità degli Stati, sulla non ingerenza e sulla cooperazione Sud-Sud. In un mondo scosso dalle guerre in Ucraina, in Palestina e in diverse regioni dell'Africa, la Cina ha mantenuto una posizione coerente volta a favorire soluzioni negoziate e a respingere la logica dei blocchi contrapposti. Questo approccio è oggi più che mai rilevante per un'Europa che fatica a definire una sua identità strategica, divisa com'è tra l'obbedienza alla NATO e l'ambizione (spesso disattesa) di diventare attore globale autonomo.
In tale contesto, la subordinazione quasi automatica dell'Unione Europea agli Stati Uniti - visibile tanto nel campo della sicurezza quanto in quello della tecnologia e dell'energia - rischia di limitare gravemente la capacità del continente di difendere i propri interessi. Gli Stati Uniti hanno tutto l'interesse a impedire un consolidamento delle relazioni euro-cinesi, perché ciò rafforzerebbe l'autonomia dell'Europa e indebolirebbe il controllo americano sullo spazio transatlantico. Le pressioni esercitate su Bruxelles affinché adotti politiche protezionistiche contro le esportazioni cinesi, o si allinei a Washington in materia di semiconduttori e intelligenza artificiale, devono essere lette come strumenti di contenimento, non come garanzie di sicurezza.
Alla luce di questi elementi, è necessario che l'Unione Europea operi una vera e propria "diversificazione geopolitica" dei propri interlocutori. Questo non significa scegliere tra Washington e Pechino, ma riconoscere che il mondo non è più quello dell'ordine unipolare nato dopo la Guerra Fredda. La sopravvivenza dell'Europa come attore globale richiede una pluralità di relazioni, un'azione diplomatica autonoma e una visione fondata sull'interesse strategico e non sulla fedeltà ideologica. La Cina, in questo scenario, non è un nemico da contenere, ma un partner imprescindibile per affrontare le grandi sfide del nostro tempo: il cambiamento climatico, la transizione energetica, la regolamentazione dell'intelligenza artificiale, la riforma del sistema commerciale globale e il rafforzamento del multilateralismo.
Il vertice del 24 luglio non ha risolto tutte le divergenze, né poteva farlo. Ma ha segnato un passaggio importante: ha dimostrato che la Cina è pronta al dialogo, che considera l'Europa una controparte strategica e che intende rilanciare una cooperazione di lungo termine. Ora tocca a Bruxelles decidere se accettare l'invito, costruendo una relazione fondata sul rispetto reciproco e sulla comune volontà di guidare, insieme, la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare.