José Ricardo Martins
Un'unione che un tempo prometteva prosperità e pace sta diventando una fortezza di paura e incertezza sociale.
Un tempo faro di pace e prosperità, l'Unione Europea sta ora entrando in una nuova era di militarizzazione e scarsità. Dietro la retorica della sicurezza si nasconde un progetto sempre più plasmato dalla pressione degli Stati Uniti, dalle spese per la difesa e da un silenzioso tradimento dei propri cittadini.
Per settant'anni il progetto europeo è stato presentato come un faro di pace, prosperità e benessere sociale. Nata dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, l'Unione europea (UE) è emersa come un meccanismo per unire ex nemici attraverso il commercio, istituzioni condivise e la promessa che l'interdipendenza economica avrebbe impedito future guerre. Per gran parte della sua storia, questa narrativa è stata vera: l'UE incarnava l'idea che l'Europa potesse reinventarsi come comunità morale, ancorata ai diritti sociali e alla sicurezza collettiva.
Oggi quell'immagine è ormai sbiadita. L'Europa si sta riarmando a un ritmo che non si vedeva dalla Guerra Fredda. Il modello assistenziale di cui l'UE andava fiera viene silenziosamente sacrificato sull'altare della militarizzazione, mentre gli Stati membri contemplano l'idea di destinare fino al 5% del PIL alla spesa per la difesa. Questa trasformazione non è guidata da una visione strategica sovrana europea, ma piuttosto da pressioni esterne, principalmente dagli Stati Uniti, il cui complesso militare-industriale ne trarrà i maggiori benefici.
Da progetto di pace a economia di guerra
La metamorfosi dell'UE in quello che i critici definiscono un progetto di "guerra e scarsità" è evidente sia nella politica che nella retorica. I leader europei, invece di articolare una dottrina di sicurezza indipendente, sembrano sempre più subordinati alle priorità di Washington. Il neo-nominato segretario generale della NATO ed ex primo ministro olandese, Mark Rutte, è diventato il volto di questa trasformazione.
Durante il cosiddetto "Vertice Trump" all'Aia, Rutte ha orchestrato un evento che più che di strategia è stato un tentativo di placare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Tappeti rossi e cene di gala hanno sostituito il dibattito sostanziale. Il vertice, osservano i critici, ha proiettato unità solo evitando questioni difficili, come le conseguenze a lungo termine dell'escalation del conflitto in Ucraina o la fattibilità di un obiettivo del 5% per la spesa militare.
Rutte ha persino fatto eco a voci non verificate dei servizi segreti secondo cui la Russia potrebbe attaccare un membro della NATO, senza fornire alcuna prova, un atto che alcuni osservatori europei hanno descritto come "teatro pericoloso".
Quando il capo della NATO diventa un veicolo per diffondere minacce speculative volte a seminare paura e rendere il progetto di militarizzazione accettabile alla popolazione, l'alleanza rischia di perdere credibilità e di rafforzare la percezione che l'Europa sia meno un attore sovrano e più un vassallo del potere statunitense.
I costi della militarizzazione
La spinta verso il 5% del PIL per la spesa in difesa ha profonde implicazioni per le società europee. Il deputato bulgaro al Parlamento europeo Petar Volgin, in un'intervista, ha avvertito che una tale politica non migliorerebbe la sicurezza né favorirebbe la stabilità. La storia dimostra che l'accumulo di armi spesso aumenta il rischio piuttosto che prevenire i conflitti. Volgin ha invocato la famosa massima di Anton Cechov: se nel primo atto una pistola è appesa al muro, inevitabilmente verrà sparata nell'ultimo.
Al di là dei rischi strategici, i compromessi economici sono evidenti. Destinare risorse pubbliche agli armamenti sottrarrà investimenti a settori sociali come la sanità, l'istruzione e il welfare, che sono le fondamenta stesse del modello sociale europeo. "Questo trasformerà l'Europa in un mostro militarizzato privo di compassione sociale", ha avvertito Volgin.
I cittadini, che devono affrontare tagli ai servizi e aumento dei costi, pagheranno il prezzo di una strategia che, in ultima analisi, avvantaggia l'industria degli armamenti statunitense molto più della sicurezza europea, seguendo la linea di Trump.
Russofobia e logica della guerra
Alla base di questo cambiamento c'è quella che può essere descritta come una russofobia istituzionalizzata. La russofobia non è più solo opinione pubblica, ma un'ideologia strutturata che plasma la politica, la narrativa dei media e le strategie diplomatiche.
Sebbene l'aggressione russa in Ucraina sia reale, la risposta strategica dell'UE è stata filtrata attraverso una lente di russofobia storica che spesso sostituisce il pragmatismo con l'emotività e il pregiudizio.
Per secoli la Russia è stata parte dell'Europa e allo stesso tempo separata da essa, contribuendo profondamente alla sua letteratura, alla sua musica e al suo patrimonio intellettuale, ma spesso trattata come una civiltà aliena.
La guerra in Ucraina ha fornito alle élite europee un'occasione opportunistica per trasformare la latente russofobia in politica. Anziché perseguire un quadro di sicurezza equilibrato che potesse alla fine integrare la Russia in un ordine europeo stabile, l'UE ha raddoppiato la posta in gioco con lo scontro, le sanzioni e la militarizzazione.
Questo approccio è profondamente ironico: un'unione nata dalla determinazione a superare gli odi del passato sta ora creando nuove linee di frattura nel continente. Gli appelli alla diplomazia, al dialogo o a un progetto di pace europeo più ampio, sociale e morale, non solo militare, sono stati emarginati o liquidati come ingenui.
Disconnessione democratica e deriva strategica
Forse l'aspetto più preoccupante della nuova traiettoria dell'Europa è il divario crescente tra la sua classe politica e i suoi cittadini. I sondaggi condotti nel primo anno della guerra in Ucraina hanno mostrato che oltre il 70% degli europei preferiva una pace negoziata al prolungamento indefinito del conflitto. Tuttavia, al Parlamento europeo, l'80% dei deputati ha respinto gli emendamenti che chiedevano la diplomazia e solo il 5% ha votato a favore.
Questa dissonanza riflette un malessere strutturale: la politica estera e di sicurezza dell'UE è sempre più determinata non dal dibattito democratico, ma dai lobbisti, dall'inerzia burocratica e dalle pressioni transatlantiche.
Il passaggio da un progetto orientato al welfare a un'agenda guidata dalla guerra è avvenuto senza un significativo consenso pubblico. Come hanno sostenuto Clare Daly e Mick Wallace , ex eurodeputati irlandesi, la "maschera liberale dell'UE è caduta", rivelando un'architettura politica che privilegia la geopolitica rispetto alle persone.
Guerra e scarsità: un circolo vizioso
Le conseguenze economiche di questa trasformazione sono già visibili. Le sanzioni contro la Russia, sebbene simboliche dal punto di vista politico, hanno contribuito alla crisi energetica, all'inflazione e al rallentamento industriale, in particolare in paesi come la Germania e l'Italia. Allo stesso tempo, gli Stati dell'UE stanno pagando prezzi molto più alti per il GNL americano e le armi prodotte negli Stati Uniti, trasferendo di fatto ricchezza oltreoceano mentre le loro popolazioni devono affrontare l'aumento dei costi e la stagnazione dei salari.
Questa è l'essenza della svolta verso la scarsità dell'Europa: abbracciando un'economia di guerra, l'UE sacrifica il suo modello di welfare sociale, mina la resilienza economica e alimenta il malcontento interno e i partiti di estrema destra. Invece di proiettare stabilità, importa volatilità: economica, politica e sociale.
La questione dello scopo
L'Unione Europea si trova ora in un momento decisivo della sua evoluzione. Se il suo scopo è quello di essere un blocco militare subordinato all'interno di un "Grande Occidente" guidato dagli Stati Uniti, potrebbe raggiungerlo a costo della sua identità originaria di progetto di pace e benessere.
Tuttavia, se cerca di riconquistare l'autonomia strategica e la credibilità morale - compromessa dal suo fallimento nel condannare il genocidio a Gaza -, deve affrontare domande scomode: l'Europa può immaginare una sicurezza al di là della logica della militarizzazione e del vassallaggio? L'Europa sta semplicemente guadagnando tempo, aspettando un'amministrazione non trumpiana, mentre rafforza la sua sottomissione? Ricostruirà un progetto di pace che affronti la giustizia sociale e la legittimità democratica, non solo la deterrenza? E può riscoprire l'ambizione morale che un tempo la rendeva un faro per un mondo segnato dai conflitti?
Per ora, la triste traiettoria dell'UE sembra chiara: un'unione che un tempo prometteva prosperità e pace sta diventando una fortezza della paura e dell'incertezza sociale, definita dalla spesa militare, dalla scarsità e dalla sottomissione. Ai suoi cittadini era stato promesso un futuro condiviso. Quello che stanno ricevendo invece è un presente militarizzato e un domani incerto.