Giacomo Gabellini
Come il ministero rinominato intende riformare l'esercito americano
Nei giorni scorsi, oltre 800 alti ufficiali delle forze armate statunitensi - compresi quelli operanti in teatri di guerra attivi - convocati dal segretario alla Guerra Pete Hegseth sono confluiti a Quantico per presenziare al cosiddetto "Liberation Day dell'esercito". L'evento è stato introdotto dal presidente Trump, il quale ha posto l'accento sulla necessità di risvegliare lo "spirito guerriero" dell'esercito, e di temprarlo all'interno dei confini nazionali. «È giunto il momento - ha affermato Trump - di distogliere l'attenzione da Kenya o Somalia, perché c'è un nemico più insidioso fra di noi [...], da combattere prima che diventi incontrollabile». Un nemico incistato nelle città degli Stati Uniti indicate apertamente da Trump come «terreno di addestramento per l'esercito».
Le direttive impartite dal presidente risultano pienamente coerenti con le linee guida condensate all'interno della bozza della National Defense Strategy, che, come anticipato da «Politico», antepone alla gestione della "minaccia cinese" la tutela degli interessi statunitensi nell'emisfero occidentale. Territorio nazionale compreso. Lo si evince dal contenuto dell'ordine esecutivo, firmato da Trump il giorno stesso dell'insediamento alla Casa Bianca, in cui si incarica il Northern Command di contribuire a «sigillare i confini e mantenere la sovranità, l'integrità territoriale e la sicurezza degli Stati Uniti respingendo forme di invasione, tra cui l'immigrazione illegale di massa, il traffico di stupefacenti, il contrabbando, la tratta di esseri umani e altre attività criminali». Secondo un anonimo funzionario raggiunto da «Military Times», «proteggere il confine rappresenta la massima priorità per la base elettorale, e forse anche per i moderati. Quindi il mutamento [descritto nella National Defense Strategy, nda] è in linea con gli impegni assunti».
Nel corso dei mesi successivi, molte delle iniziative assunte dall'amministrazione Trump si orientavano nella medesima direzione: dalle rivendicazioni su Groenlandia e Panama alle ambizioni annessioniste nei confronti del Canada; dalla mobilitazione della Guardia Nazionale a sostegno delle forze dell'ordine a Washington e Los Angeles all'impiego dell'Immigration and Customs Enforcement in Oregon; dalla militarizzazione del confine con il Messico allo schieramento di navi da guerra e caccia F-35 nei Caraibi e al largo delle coste venezuelane con lo scopo ufficiale di combattere il narcotraffico. Secondo quanto riportato dal «Washington Post» la National Defense Strategy in via di definizione investirebbe il Pentagono del mandato di «assegnare la priorità agli sforzi volti a sigillare i nostri confini, respingere le forme di invasione tra cui la migrazione di massa illegale, il traffico di stupefacenti, il contrabbando, la tratta di esseri umani e altre attività criminali, e deportare gli stranieri illegali in coordinamento con il Dipartimento della Sicurezza Interna».
Come preannunciato dai licenziamenti del vecchio presidente del Joint Chiefs of Staffs, generale Charles Q. Brown Jr., e del capo delle operazioni navali, ammiraglio Lisa Franchetti, e confermato da Hegseth dinnanzi alla platea di Quantico una volta concluso l'intervento di Trump, il "nuovo corso" contempla anche una riduzione del 10% del numero di generali e ammiragli, con un picco del 20% per quanto riguarda gli ufficiali a quattro stelle, oltre alla ridefinizione delle linee dei comandi combattenti degli Stati Uniti. I tagli verterebbero sull'eliminazione delle strutture "superflue", e si inseriscono in un radicale cambio di registro rispetto al passato. «È quasi impossibile - ha dichiarato Hegseth - modificare alla radice una cultura con le stesse persone che hanno contribuito a crearla o ne hanno addirittura tratto beneficio. A un'intera generazione di generali e ammiragli è stato ordinato di ripetere a pappagallo la folle fallacia che "la nostra diversità è la nostra forza"». Si va dunque verso l'eradicazione della "cultura woke" impostasi sotto l'amministrazione Biden, da promuovere anche mediante epurazioni selettive - il segretario alla Guerra ha apertamente invitato gli ufficiali dissenzienti a rassegnare le dimissioni - e la destrutturazione sistematica dei meccanismi premiali intesi a promuovere l'inclusione e al raggiungimento di quote razziali e di genere. Nonché attraverso la revoca dei programmi dedicati alla diffusione di "distrazioni ideologiche" quali il cambiamento climatico.
Il merito, ha sottolineato Hegseth, va recuperato come criterio supremo di selezione del personale militare, il quale sarà chiamato d'ora in poi ad adeguarsi a severi regimi in materia di dieta e allenamento, a conformare il proprio aspetto a precisi canoni estetici (niente barbe, capelli lunghi, ecc.) e a sottoporsi a regolari controlli di altezza e peso. «È del tutto inaccettabile vedere generali e ammiragli grassi aggirarsi nelle sale del Pentagono e guidare i comandi in tutto il mondo», ha tuonato il segretario alla Guerra.
Quella che l'amministrazione Trump ha battezzato "giornata di liberazione per l'esercito", ha suscitato non poche perplessità e critiche. Anzitutto perché l'innalzamento strutturale degli standard atletici stride pesantemente con il progressivo deterioramento qualitativo dei cittadini statunitensi in età arruolabile, tale da aver indotto il Pentagono ad abbassare i requisiti minimi pur di conseguire gli obiettivi di reclutamento prefissati. Allo stesso tempo, la svolta annunciata da Hegseth richiede un netto cambiamento di abitudini ormai consolidate in seno alle forze armate.
Le obiezioni di maggiore rilevanza attengono tuttavia agli aspetti dottrinali. Come evidenzia il «Washington Post», un certo livello di dissenso «durante il processo di stesura [della National Defense Strategy, nda] è normale, ma il numero di funzionari preoccupati per il documento, così come la profondità delle loro critiche, è insolito». Il nuovo presidente del Joint Chief of Staffs Dan Caine, in particolare, avrebbe «condiviso le sue impressioni negative con i vertici del Pentagono nelle ultime settimane [...], cercando di mantenere la National Defense Strategy ancorata alla preparazione dell'esercito per scoraggiare e, se necessario, sconfiggere la Cina».