
Davide Rossi
A chiusura di questo primo quarto del nuovo secolo, la stampa e i media cinesi stanno dedicando molto spazio e molte riflessioni e con ragione all'operato di Deng Xiaoping, scandagliando la sua vita e i suoi infiniti meriti.
Nell'affrontare la pirotecnica vita di Deng Xiaoping molta attenzione viene portata alla sua opposizione al Grande Balzo in avanti, il quale è stato in realtà un catastrofico e tragico salto all'indietro. Tra il 1958 e il 1962 questo progetto maoista, imposto al resto del Partito Comunista Cinese rimasto per altro molto dubbioso e perplesso, nato per paura di un possibile attacco militare occidentale e quindi immaginante necessario organizzare nelle Comuni contadine una minima capacità infrastrutturale industriale per la produzione eventuale di armi e utensili in proprio, nel caso appunto di una nuova guerra sul territorio cinese, ha come risultato il calo di un terzo del prodotto interno lordo e di un terzo della produzione cerealicola, generando, anche a causa di una serie di catastrofi naturali sommatesi agli errori politici, milioni di morti e una crisi socio - economica di enorme portata.
È in questo difficilissimo frangente che i tre dirigenti di maggiore saggezza e avvedutezza del Partito Comunista Cinese, oggi ricordati con devozione, tanto dal popolo, quanto dal Partito, Liu Shaoqi, Zhou Enlai e Deng Xiaoping decidono di marginalizzare nella vita politica cinese Mao Zedong, mantenendolo come figura iconico - rappresentativa per i suoi indubbi meriti passati, a partire dalla costruzione del Partito Comunista Cinese fondato sulle masse contadine con una innovazione ideologica di grande portata, all'ideazione e alla vittoria della Lunga Marcia e infine allo straordinario trionfo nella guerra civile contro i nazionalisti, fino alla fondazione il 1° ottobre 1949 della Repubblica Popolare. Tutto questo fa di Mao Zedong uno dei più grandi marxisti della prima metà del Novecento, secondo solo a Iosif Stalin, per trent'anni alla guida dei bolscevichi, il quale negli stessi anni edifica la prima nazione socialista della storia dell'umanità, quindi guida l'Armata Rossa nella Vittoria contro il nazifascismo, una vittoria ancora in larga parte del mondo onorata con la maiuscola a ricordo dei ventisette milioni di caduti sovietici, donne e uomini, soldati, civili, partigiani dentro le zone occupate dai nazifascisti e deportati nei campi di concentramento. Liu Shaoqi, Zhou Enlai e Deng Xiaoping hanno per altro sempre reputato necessario mantenere buoni rapporti con i sovietici, ritenendo fondamentale la costruzione di una solida alleanza tra Mosca e Pechino per la costruzione di differenti rapporti internazionali volti a contrastare l'egemonia statunitense.
Mao Zedong tuttavia non accetta per sé un ruolo decorativo da padre della patria e procede in senso contrario, prima scatenando l'attacco ai dirigenti del Partito e dello stato, chiedendo di sparare sul quartier generale, da cui era stato estromesso, poi, non bastando questo simbolico bombardamento politico e mediatico, decidendo di scatenare la Rivoluzione Culturale, la quale, al netto della un po' demenziale, ancorché ingenua e per certi aspetti comprensibile esaltazione promossa dalla gioventù occidentale di allora, siamo alla metà degli anni '60 e agli albori degli anni '70, ha contrassegnato il decennio più tragico e lugubre della storia socialista cinese. Scuole, fabbriche, università chiuse, rigidità ideologica parossisticamente perseguita, collasso delle strutture statuali ed economiche.
Liu Shaoqi muore di stenti in un campo di rieducazione il 12 novembre 1969, Deng Xiaoping è ugualmente spedito a rieducarsi, Zhou Enlai rimane solo, come primo ministro, a reggere l'urto nefasto dell'irresponsabilità politica di Mao Zedong, il quale per il suo agire in questi anni ha meritato un giudizio universalmente e totalmente negativo.
Quando Zhou Enlai e Mao Zedong moriranno nel 1976, gli estremisti della Banda dei Quattro proveranno a trovare una sponda in Hua Guofeng, erede pro tempore del potere cinese, il quale risponde piuttosto alla richiesta tanto dei quadri intermedi del Partito, quanto di ampi settori della società civile di far risorgere il Partito e lo stato dal marasma che ha portato fame, disperazione, povertà, smarrimento, gettando in una situazione disperante novecentocinquanta milioni di cinesi.
Hua Guofeng richiama allora Deng Xiaoping, per la terza volta al potere, dopo che nel 1973 già lo aveva chiamato al governo Zhou Enlai allora gravemente malato, non a caso Deng Xiaoping, esautorato dopo la sua scomparsa dell'amico e primo ministro, riprende allora definitivamente in mano i destini della Cina guidandola di fatto fino alla sua scomparsa nel 1997.
Nel biennio 1973 - 74 e 1974 - 75 grazie a Deng Xiaoping vengono riaperte le università, può sembrare incredibile, ma in quella scelta necessaria e urgente che pone rimedio a una delle peggiori piaghe della Rivoluzione Culturale, Deng Xiaoping intravede quello che sarebbe dovuto essere il futuro della Cina. La sua idea è chiara, riaprendo le università e aprendosi, come avrebbe portato l'intera Cina qualche anno dopo, alle migliori esperienze produttive mondiali, la Cina avrebbe potuto costruire con pazienza e con il tempo un primato planetario nel campo dell'innovazione, se oggi la Cina è la prima al mondo in campo scientifico - tecnologico e nella ricerca nel campo dell'intelligenza artificiale, l'idea che si potesse giungere dove il popolo e la scienza cinese sono oggi arrivati, la si deve alle intuizioni di Deng Xiaoping e alla sua ferma e indiscutibile scelta, in quegli anni, mentre l'Occidente si dibatteva in crisi e proteste per l'aumento del prezzo del petrolio deciso dall'OPEC, di riaprire gli atenei per rilanciare lo studio, l'approfondimento, la ricerca e l'innovazione. La stessa apertura al mercato, non già al capitalismo, è stata conforme alle condizioni sociali, economiche e politiche della Cina, non è stata un mero e modesto adeguarsi della Repubblica Popolare a proposte e ricette esterne. La Cina mai si è sentita, meno che mai con Deng Xiaoping, la scolaretta obbediente dell'alleato tattico e temporaneo statunitense, glielo ha lasciato credere, ribadendo proprio negli anni denghiani, in ogni riunione del Partito Comunista Cinese e del suo Comitato Centrale, che il destino della Cina sarebbe stato quello di tornare al centro della scena mondiale, con un concreto primato economico, scientifico e politico e che questo sarebbe stato possibile solo rimanendo saldamente fedeli al socialismo e al marxismo, pur applicandolo con tutta l'intelligenza e la creatività che i tempi hanno imposto.
La miopia statunitense nel leggere e capire la Cina è stata clamorosa, con il corredo di servili e credulone ancelle mediatico - accademiche in ogni parte dell'Occidente e il tutto per oltre mezzo secolo. L'idea, tutta statunitense e tutta sbagliata, secondo cui la Cina sarebbe diventata una mite e muta alleata subalterna del progetto egemonico a stelle e strisce, il quale ha immaginato di poter condurre liberamente, dopo la fine dell'Unione Sovietica, la conquista e le depredazione di tutto il pianeta, come per altro fatto dal '45 in poi in larga parte del mondo, costringendolo a inginocchiarsi davanti al dollaro e ai cannoni della NATO, è stato quanto di più stupido si potesse immaginare.
Deng Xiaoping, come qualsiasi persona di buon senso, ha sempre saputo che il mercato e la concorrenza producono ricchezza. Il problema fondamentale non è produrre ricchezza, la cui alternativa è non produrla e quindi gestire la miseria, ma decidere come coordinare, controllare, indirizzare e utilizzare quella ricchezza prodotta. In una società capitalistica, ricordano i media cinesi, la ricchezza concorre al benessere privato di pochi. Conosciamo tutti i dati che riguardano l'Occidente, ma anche nazioni come l'India, in cui un'infima percentuale della popolazione possiede oltre la metà della ricchezza nazionale, così come oltre metà della popolazione possiede una porzione infima e irrisoria della ricchezza prodotta.
Il ruolo dello stato e del Partito Comunista Cinese, le imprese di villaggio e di municipalità, il mantenimento del controllo pubblico e del possesso statale sulla terra e sui mezzi di produzione, tutto questo ha generato in Cina un mercato senza capitalismo, ovvero un mercato al servizio dell'emersione dalla povertà e dalla miseria in cui era sprofondata con la Rivoluzione Culturale una popolazione che ai tempi di Mao Zedong si avvicinava al miliardo di abitanti e oggi è composta da un miliardo e quattrocento milioni di donne e uomini. In Cina certo ci sono persone ricche e imprese di successo, ma l'idea tutta occidentale di gestione privata della ricchezza da parte degli imprenditori non esiste, l'imprenditore che non aumenti i salari, che non investa in innovazione tecnologica, che non assuma nuovi dipendenti, che non concorra al conseguimento degli obiettivi stabiliti dai piani quinquennali, si troverebbe presto in serie difficoltà, rispondendo di un approccio non coerente con i modelli di sviluppo e di crescita economica e sociale che la Cina, sotto la guida a tratti anche fortunatamente rigida del Partito Comunista Cinese, si è data.
L'idea di una Cina "fabbrica del mondo" con operai a basso reddito è stata vera forse negli anni '80 e nei primi '90 del Novecento, non certo oggi, in cui il reddito medio pro capite cinese non è molto lontano da quello occidentale, rappresentando certamente un'altra delle idee sbagliate e fuorvianti propagandate da Washington. È vero piuttosto che l'alto livello d'istruzione garantito dal socialismo cinese ha operato allora significativamente per attrarre investimenti, rispetto ad altre zone del pianeta, in più le reti sociali locali e il controllo capillare del Partito Comunista Cinese hanno garantito una permanente compatibilità con l'interesse nazionale, d'altronde il Partito Comunista cinese mantiene tutt'oggi il controllo sui movimenti di capitale e una forte presenza dello stato in economia, ma soprattutto costringe, laddove ancora permangano imprese straniere, a creare società partecipate con le imprese locali, con la correlata acquisizione di quelle competenze che possano eventualmente ancora mancare alla ricerca scientifica e all'innovazione cinese.
Deng Xiaoping, l'uomo che nel 1932 partecipa da commissario politico e da dirigente militare alla Lunga Marcia, che da capo militare contribuisce alla vittoria contro i nazionalisti, fonda con gli altri dirigenti la Repubblica Popolare nel 1949, nel 1961 da segretario del Partito Comunista Cinese rifiuta la strada imboccata con Chruščëv dal movimento comunista mondiale e apertamente si fa carico nella conferenza di Mosca in quel nevoso autunno russo di spiegarne le ragioni e di subire le universali critiche, ad esclusione degli albanesi, che poi si titoleranno più meriti di quelli che in realtà abbiano avuto in quelle circostanze, inizia alla metà degli anni '70 l'ultima stagione della sua vita, la più incredibile, inaspettata, decisiva per le sorti della Cina e dell'umanità, per molti aspetti una resurrezione personale capace di coincidere con una resurrezione politica, economica e sociale del popolo cinese, tratteggiando nei suoi scritti e nei suoi interventi quanto questa avrebbe cambiato il mondo e costruito le premesse per la vittoria multipolare in alleanza con la Russia nel XXI secolo. Un cammino roboante, se si pensa che il Prodotto Interno Lordo cinese del 1978 equivaleva a quello di molte piccole, poco popolate e povere nazioni africane e quando lui scompare nel 1997 la traiettoria che porta la Cina al primato economico e militare planetario odierno è tracciata e in poderosa e incessante ascesa.
Di Deng Xiaoping si ricordano nella stampa cinese - a mezzo secolo dall'inizio del percorso di trasformazione da lui ingaggiato - le grandi innovazioni in campo industriale, con le aziende miste, le zone speciali, ma spesso ci si dimentica che il suo primo intervento è stato a favore delle grandi masse contadine, permettendo loro di vendere prodotti nei mercati liberi istituiti nelle città, cosicché in un decennio il reddito agricolo pro capite aumenta del 70% e la produzione agricola cresce di oltre 10%, perché per Deng Xiaoping può esistere libertà solo quando si è liberi dal bisogno, come peraltro detto e scritto dallo stesso Karl Marx.
Sui fatti del 1989 tutte le più recenti prove documentarie spiegano come gli scontri siano avvenuti intorno a piazza Tien An Men, non nella piazza stessa, ma soprattutto, andrebbe spiegato il perché la linea del Partito Comunista Cinese di difesa del socialismo sia risultata condivisa dalla maggioranza assoluta della popolazione. Quello di quei giorni a tutti gli effetti è stato uno scontro di classe, la nuova borghesia chiedeva spazi di agibilità politica, le masse operaie e contadine hanno confermato il patto tacitamente sottoscritto nel 1949 all'atto della nascita della Repubblica Popolare, ovvero la conferma dell'espropriazione politica dei ceti borghesi in ragione di un'eguaglianza tra tutti i cittadini da costruire attraverso il socialismo, inteso come cammino di crescita umana, spirituale ed economica.
Oggi la Cina, con città avveniristiche ed ecologiche, con mezzi di trasporto di prepotente velocità, dispone altresì di un sistema sanitario universale, di uno pensionistico altrettanto in fase d'estensione, di una contrattazione sindacale nazionale e aziendale non dissimile da quella occidentale, ma forse più efficace grazie alla presenza in tutti i luoghi di lavoro del Partito Comunista Cinese. Tutte queste conquiste tuttavia non sono avvenute attraversando un cammino cosparso di petali di rose, mentre la crescita correva a due cifre ogni anno, la costruzione di un nuovo stato, giuridico, di servizi alla persona, di tutele, ha percorso una strada certamente accidentata e lunga, Deng Xiaoping è stato l'architetto di questa costruzione, risolutamente marxista e in quanto tale capace di costruire benessere e crescita per il presente e il futuro dei cinesi, nel momento stesso in cui, connettendoli con il mondo, ha tracciato gli indirizzi per un nuovo ordine mondiale multipolare.